Alla mia amata Giuseppina
Sant'Elena, 28 gennaio 1816
Ultimi giorni gennaio di questo 1816. Le giornate sono trascorse sempre uguali, con una monotonia del clima che mai avevo visto nella mia vita.
Sempre la stessa sequenza. Al mattino una coltre di nebbia che rende impossibile vedere a più di cento passi. Nella tarda mattinata la nebbia si trasforma in foschia. Una gelida pioggerella comincia a scendere, fitta, incessante, ostinata. Mi trovo al centro di un recinto di pioggia che rende la vista simile alle sbarre di una prigione. Sì proprio una prigione come quella in cui mi hanno rinchiuso gli Inglesi.
Nel primo pomeriggio la pioggia si intensifica. Il cielo si illumina di lampi, mentre i tuoni risuonano, ma solo in lontananza simili a colpi di cannone di una battaglia lontana. La sera, invece, la natura si quieta, la pioggia cessa del tutto, una brezza leggera fa sussultare le foglie degli alberi. Anche la temperatura diventa più tiepida, quasi come se gli agenti atmosferici sapessero che il giorno è trascorso è che è sopraggiunta l'ora del riposo.
Sono le ore che preferisco. Riesco anche a fare una breve passeggiata che è l'occasione di dare sfogo al corso dei miei pensieri. Non mi allontano molto, quasi sempre giro in tondo, tanto che mi soffermo a guardare il solco lasciato dai miei passi.
Ieri sera ricordavo Giuseppina
Per lei ho fatto sciocchezze, per lei mi sono reso ridicolo, per lei ho commesso imprudenze, per lei ho speso tantissimo.
E' difficile per me ora spiegare quello che mi accadde quando la incontrai per la prima volta.
Mi recai, una sera a casa Barras. Sapevo bene che la mia carriera passava per quei salotti dove i politici e i potenti di Francia gozzovigliano e amoreggiavano. Non era la prima volta che vedevo Giuseppina, ma quella sera era particolarmente bella. Era seduta su un sofà con altre due dame; parlava con loro, ma non le guardava.
Il suo sguardo, infatti vagava per la sala. Notai un vezzo che in seguito riuscii a spiegare. Quando parlava Giuseppina accostava la mano al volto, quasi a nascondere la bocca.
I nostri sguardi si incrociarono e mi parve di scorgere un sorriso ammicante sulle sue labbra. Per un pò di tempo continuai a fissarla, ma lei non rivolse lo sguardo verso di me che due o tre volte e sempre di sfuggita, vaga, distratta.
Mi allontanai e incrociai Barras. Mi fu spontaneo fare subito riferimento a Giuseppina. Lo scaltro Direttore, fece una smorfia che non riuscii a interpretare.
Fatto sta che pochi minuti dopo Giuseppina si avvicinò e all'improvviso si fermò a pochi centimetri da me. Io non sapevo che dirle, ma l'occasione era troppo ghiotta per lasciarsela scappare, anche se avevo capito bene che c'era lo zampino di Barras.
" Madame, oggi è veramente una giornata fredda!" esclamai!
Credo di essermi reso veramente ridicolo, considerando che Giuseppina aveva le spalle e gran parte del seno scoperti stretta in un abito verde smeraldo.
"Bisogna avere il fuoco dentro" rispose sorridendo Giuseppina.
"Per quanto mi riguarda sono un vulcano pronto ad esplodere" replicai.
La conversazione sembrava stesse per terminare quando Giuseppina, dopo aver fatto un mezzo passo avanti si voltò e disse:
" Sarei felice se il prossimo venerdì venisse a farmi visita".
Quell'invito inatteso mi fece arretrare come se fossi stato colpito da un pugno.
"Certamente", balbettai confuso.
Ero ebbro di gioia e forse già quasi innamorato. Solo un piccolo rammarico mi dava un senso di velata malinconia.
A Marsiglia avevo conosciuto una dolce fanciulla Desirée che era la sorella della sposa di Giuseppe mio fratello. Ci ervamo scambiati promesse d'amore eterno ed io ero sincermante preso dalla più giovane delle Clary.
Giuseppina, però era diversa. Quando la guardavo sentivo il sangue esplodere nelle mie vene, il cuore pulsare all'impazzata. Un unico pensiero pervadeva ogni centimetro della mia carne: possedere quella donna.
Da quel venerdì, tanti altri incontri di passione. Più mi abbeveravo alle labbra di Giiuseppina più avevo sete di lei. Lei mi sembrava quasi sorpresa quando la reclamavo, la bramavo, la idolatravo, ma la mia era una passione insana e senza limiti.
Ci sposammo il 9 marzo del 1796 e pochi giorni dopo partii per l'Italia. Ero il comandante in capo dell'armata.
In Italia passai da successo in successo. Sconfissi i Piemontesi prima, gli Austriaci poi e mi spinsi fino a Milano.
Giuseppina era rimasta a Parigi, ma ogni mio pensiero oltre alla guerra era per lei. Ricordo che le scrivevo ogni giorno. Ero concnetrato sulle battaglie, sui nemici, ma un pezzo della mia mente non poteva fare a meno di lei.
" Mi sveglio colmo di te. Il tuo ritratto e il ricordo della serata di ieri non hanno concesso riposo ai miei sensi. Dolce e incomparabile Giuseppina che strano effetto fate voi sul mio cuore!
Siete adirata? Siete triste? Siete inquieta?
L'animo mi si spezza dal dolore e non c'è tregua per il vostro amico.
Ma ce n'è ancor meno per me quando consegnandovi al sentimento profondo che mi domina, attingo dalle vostre labbra, dal vostro cuore, la fiamma che mi arde.
Questa notte ho capito che voi non siete il vostro ritratto!
Tu parti a mezzodì e io non ti vedrò che fra tre ore!
Nell'attesa, mio dolce amore accogli un migliaio di baci; ma non restituirmeli, poichè il mio sangue ne brucerebbe."
Questo quello che le scrivevo.
Per me la massima di La Bruyére: " l'amore giunge a un tratto" era falsa. Tutto in natura ha un corso e vari gradi di sviluppo.
Ricordo a memoria i miei scritti.
" ...non piangere mai, perché le tue lacrime mi privano della ragione e accendono il mio sangue" .
Infine Giuseppina mi raggiunse in Italia e non persi nemmeno un giorno ad amarla.
Non furono, però solo gioie.
Quando ero in Egitto ebbi le prove del tradimento di Giuseppina. Il mondo mi crollò addosso. La mia amata, aveva tradito il mio amore. Nelle vene il sangue divenne prima torrido, poi si raffredò. La mia decisione era presa. l'avrei ripudiata.
Sono un Corso nell'animo e presi la mia vendetta prendendo come amante Pauline Foures colei che tutti chiamavano la Bellilotte.
Le cose in Egitto si misero male, anche se la spedizione per me fu un successo. In Francia poi la situazione volgeva la peggio e un mio ritorno era necessario. Il mio destino si sarebbe deciso in Francia, ma dovevo affrontare anche Giuseppina.
Non ebbi il coraggio di ripudiare mia moglie, ma qualcosa nel nostro rapporto si era incrinato.
Da quel momento ho sempre nutrito un affetto profondo per Josephine, ho assecondato le sue spese e i suoi capricci, ho sopportato la sua gelosia e l'ho fatta imperatrice.
La passione, no; quella era svanita del tutto
Mia madre e i miei fratelli non facevano altro che denigrare mia moglie. La "vecchia" la chiamavano. Carolina era la più acida nei suoi confronti. Tutti volevano che divorziassi, tutti mi volevano convincere che un erede non arrivava perché era anziana.
Carolina e Murat arrivarono a introdurre nel mio letto diverse dame affinché una di loro potesse restare incinta dandomi la prova decisiva della mia fertilità.
Io non riuscivo a decidermi. Il dubbio che fossi sterile lo avevo e Giuseppina era pur sempre mia moglie che mi aveva seguito quando ero un signor nessuno.
Napoleone e Giuseppina alla Malmaison |
Giuseppina continuava a mostrare il lato buono del suo carattere. Spesso le dicevo: "Io vinco battaglie, voi conquistate i cuori"
Mia moglie aiutava tutti coloro che l'imploravano. La sua generosità era senza limiti. Arrivò ad assicurare una pensione anche alla nutrice del Delfino.
Il divorzio
Tanti i ricordi che serbo nel mio cuore, ma quello che ancora oggi mi fa star male è il giorno in cui le annunciai la mia volontà di sciogliere il matrimonio per poter sposare Maria Luisa.
Giuseppina se lo aspettava eppure non potè fare a meno di sentirsi male. Non fingeva, ne sono sicuro!
Le offrii tante cose e qualche richiesta venne anche da lei, ma poi il suo intendimento fu chiaro. Nessun risarcimento poteva bastare a chi era stata Imperatrice dei Francesi.
Non ci siamo più visti molto, in fondo sarebbe stato imbarazzante per me e per lei visto che mi ero risposato. Non ho mancato mai, però di chiedere sue notizie.
Giuseppina è morta precocemente.
Da quanto mi hanno detto sembrava un normale mal di gola, un'affezione da poco quella che l'aveva colpita. Gli effetti furono devastanti. In pochi giorni l'infezione si era impadronita del suo corpo. So che lo Zar Alessandro non mancò di assicurarle le cure dei migliori medici, ma tutto fu vano.
Le sue ultime parole furono Elba... Napoleone.
Mentre ero immerso in questi pensieri di grande gioia , ma di altrettanto dolore, mi resi conto che già le 10 erano passate. Bertrand mi reclamava per la solita partita a carte serale.
Il generale mi guardò e colse sul mio viso una strana espressione:
Maestà il vostro volto denuncia inquietudine mi disse.
"No, caro mio"replicai
"il mio volto è lo specchio della mia vita passata e del mio amore per la Francia e per una donna che oggi non c'è più e che ho tanto amato!".
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