Un Napoleone pessimista e malinconico, ma non troppo.
Uno scritto giovanile di Napoleone
Analizziamo insieme uno scritto giovanile di Napoleone.
Bonaparte ci fa
partecipi di un suo momento di estrema malinconia che lo porta a pensare alla
morte come unica soluzione all'impossibilità di salvare la Corsica dal giogo
francese.
La Corsica invasa dai Francesi
Napoleone è disperato, pensa alla condizione della propria patria, alla mancata reazione d'orgoglio dei Corsi che hanno accettato supinamente l'invasione francese.
Napoleone vive al di fuori
della realtà. Il patriottismo e la voglia di indipendenza della Corsica è un
sentimento ben presente nell'animo dei suoi compatrioti, ma il dominio dei
Francesi non limita assolutamente la libertà dei Corsi come egli vuole far
intendere.
La vera causa di questa vena triste è da
ascriversi al fatto che in quegli anni egli non aveva ancora trovato la strada
delle propria realizzazione. Egli è un giovane ufficile pieno di ambizioni,
sogni e speranze. Un vulcano che ribolle di lava che non sa dove far tracimare
la propria energia.
Ma analizziamo meglio, passo per passo, cosa scrisse:
Sempre solo in mezzo agli uomini, torno a sognare con me stesso e con grande forza torna la mia malinconia.
Verso quale direzione è rivolta oggi?
Dalla parte della morte. All'alba dei miei giorni posso sperare ancora di vivere a lungo. Sono stato via sei o sette anni dalla mia patria. Quali piaceri non assaggerò, quindi nel non vedere più per quattro mesi e i miei compatrioti e i parenti?...
Quale demone mi porta dunque a volere la mia distruzione? Cosa debbo fare in questo mondo? Visto che devo morire, non vale la pena uccidersi?
Se avessi già superato i sessanta, aspetterei pazientemente che la natura possa compiere il suo corso;
ma da quando comincio a sperimentare disgrazie, nulla è piacevole per me.
Perché dovrei sopportare giorni in cui nulla mi ha fatto
prosperare? Come sono lontani dalla natura gli uomini! Com'è
codardo, vile, strisciante l'uomo!
La solitudine di Napoleone
Napoleone si sente solo. Non è la prima volta che gli accade di provare questa sensazione.
Le poche cronache che ci vengono da Brienne ci dicono, infatti di un Bonaparte spesso isolato dai suoi compagni. Chiuso nel suo mondo, chino sui libri di storia e di matematica, mai partecipe dei giochi e dei momenti di svago.
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Un ragazzo, quello di Brienne, che canalizza la propria incapacità di inserimento col fatto di essere Corso. Lo prendono in giro per quel suo strano nome che storpiano in "Paille au nez", per la sua magrezza e per quel suo francese che somiglia a un Italiano.
In quegli anni Napoleone è ossessionato dall'invasione dei Francesi che dal 1769 avevano conquistato la Corsica. Egli, nel suo animo di ragazzo vede questo avvenimento come una violenza.
Ma proseguiamo con le parole di Napoleone che ci chiarisce meglio i suoi concetti.
Che spettacolo vedrò nel mio paese? I miei compatrioti carichi di catene e che baciano tremanti le mani di chi li opprime! Non ci sono più quegli eroici Corsi , nemici dei tiranni, del lusso, e dei vili cortigiani»...
Con la libertà, sono svaniti come sogni, quei giorni felici! Francese, non contento di
di averci tolto tutto ciò che amiamo, tu hai ancora corrotto la nostra morale. Lo stato attuale della mia
patria e l'impossibilità di cambiarla è dunque un buon motivo per
fuggire da una terra dove sono obbligato dal dovere di lodare gli uomini che
devo odiare per virtù.
Quando la patria non c'è più, un
buon patriota deve morire. La vita dipende da me che non provo alcun
piacere; tutto è doloroso per me.
Lei è un peso per me perché gli uomini con cui vivo e probabilmente
vivrò hanno e una morale morale lontano dalla mia come il chiaro
di luna differisce da quello del sole.
Quindi non posso seguire l'
unico stile di vita che potrebbe farmi sopportare la vita, da cui segue un
disgusto per tutto.
In questa seconda parte Napoleone chiarisce bene il suo pensiero.
La rabbia di Napoleone
Egli prova una rabbia e un rancore profondo per i Francesi che hanno invaso la propria patria. Vede che i Corsi si sono piegati e che non hanno alcuna intenzione di ribellarsi.
D'altra parte questa era stata anche la scelte, della prima ora, del padre Carlo che dopo aver combattuto al fianco di Paoli aveva deciso, dopo la battaglia di Ponte Nuovo di schierarsi dalla parte dei Francesi.
Napoleone che in seguito diverrà l'Imperatore dei Francesi, in quegli anni li detesta. Eppure è proprio grazie alla Francia, al re e ai buoni uffici di Marbeuf, il governatore dell'isola che egli ha potuto studiare e ricevere un 'educazione che lo avrebbe portato alla carriera militare.
Uno spirito acerbo
Lo spirito di Napoleone di quegli anni non è ancora maturo. Egli si sente un eroe, paladino della libertà, che deve liberare la sua patria.
Napoleone non pensava veramente alla morte come soluzione, come afferma nello scritto. Troppo forte, troppo fiero e orgoglioso per arrendersi. In quegli anni gli piaceva di atteggiarsi a martire e quello che scriveva era frutto di quello che aveva letto.
Un tratto però mi piace sottolineare. Già da queste parole scritte da giovane , si avverte il senso di uno spirito inquieto, di un carattere che non si sarebbe mai piegato. Il tratto di un uomo ambizioso, focalizzato sugli obiettivi da raggiungere che pensa alla morte solo perché li vede lontani e irraggiungibili.
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